Il trattamento cognitivo-comportamentale degli attacchi di panico si avvale di tecniche di rilassamento e dell'esposizione graduata, efficaci per impedirne l'insorgenza. Scopri come il nostro Studio affronta questo disturbo.
Uno studente universitario che aspetta il proprio turno per essere interrogato, un paziente in attesa dei risultati di un accertamento medico, un ragazzo che aspetta il messaggio di risposta della ragazza a cui ha chiesto un appuntamento. In misura minore o maggiore, è probabile che tutti loro sentano ansia, un’emozione naturale quando è momentanea ma che può rappresentare un problema laddove sia perdurante, troppo intensa o impedisca di svolgere le attività di tutti i giorni.
Lo studente del nostro esempio riuscirebbe a sostenere l’esame se l’ansia diventasse troppo forte? E quali sarebbero le conseguenze se gli fosse impossibile affrontare anche i successivi?
L’ansia può produrre sintomi fisici fra cui la tachicardia, i tremori, la sudorazione, la respirazione affannosa e la tensione muscolare, ma anche psicologici. Chi è in ansia sente il pericolo come un’eventualità concreta, non riesce a pensare con lucidità e ha la mente centrata, di conseguenza, solo sui pensieri di fuga.
Da un certo punto di vista i sintomi del panico non sono così diversi da quelli dell’ansia intensa. Durante un attacco di panico si possono sentire vampate di calore o brividi improvvisi, respiro affannoso, tachicardia e oppressione al torace. A questi sintomi si aggiungono percezioni psicologiche di pericolo; ci si sente come se da un momento all’altro si stesse per cadere, svenire, perdere il controllo, impazzire o addirittura morire. E, in apparenza, sembra impossibile fermare, controllare i sintomi o spiegarne la causa.
La prevedibile conseguenza dell’aver avuto un attacco di panico in una certa situazione è l’evitamento di quella situazione. Si stabilisce, infatti, il seguente rapporto di causa-effetto: “Se mi è venuto un attacco di panico in quella circostanza, è colpa della circostanza”. Purtroppo, tuttavia, oltre che essere errato, questo ragionamento porta a evitamenti sempre crescenti e all’agorafobia, una condizione spesso concomitante al Disturbo di Panico.
Per questo motivo, il trattamento del panico ha come scopo principale bloccare gli attacchi e ridurre gli evitamenti agorafobici. Questi due obiettivi sono legati fra loro poiché panico ed evitamenti si rinforzano a vicenda. Prima di procedere, però, occorre fare un cenno alle possibili complicanze del problema. L’ansia e gli attacchi di panico, soprattutto se perdurano da tempo, possono associarsi a condizioni depressive o a disturbi della sfera ossessiva, come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Qualora sia in atto un episodio depressivo con sintomi in acuto o molto resistenti, un trattamento farmacologico parallelo alla psicoterapia potrebbe essere utile. Nel caso, invece, in cui il panico fosse l’unico sintomo, non è mai consigliato l’utilizzo di farmaci e soprattutto delle benzodiazepine, i cosiddetti ansiolitici. Nel Disturbo di Panico l’impiego di farmaci che inibiscono l’ansia rischia di produrre, sul lungo termine, una sensibilizzazione ai sintomi stessi dell’ansia e, quindi, la necessità di un uso continuativo del farmaco.
L’attacco di panico non è un’esperienza oggettiva ma ha base quasi del tutto psicologica e può manifestarsi con sintomi variabili o di diversa intensità. Per questo motivo il trattamento del Disturbo di Panico inizia con la raccolta delle informazioni sugli attacchi di panico e sulle circostanze a essi collegate, in particolare:
Le informazioni relative ai precedenti 5 punti, se raccolte con attenzione, permettono un’analisi funzionale approfondita, indispensabile per impostare il successivo trattamento. Errori in questa procedura possono limitare o impedire i miglioramenti.
Mentre l’individuazione dei sintomi non è complicata, lo stesso non si può dire dell’analisi dei pensieri e delle convinzioni (punto 3), dell’identificazione dei comportamenti protettivi (punto 4) e degli evitamenti (punto 5), che spesso sono poco evidenti.
Di seguito alcune convinzioni tipiche di chi soffre di attacchi di panico.
Di seguito alcuni comportamenti protettivi.
Di seguito alcuni comportamenti d’evitamento.
Le informazioni ricavate dall’analisi funzionale servono per trasmettere al paziente gli strumenti per gestire e prevenire i sintomi e per modificare i pensieri collegati al panico.
L’attacco di panico condivide con l’ansia intensa uno dei suoi sintomi principali, la sensazione di fame d’aria e di difficoltà a respirare. Questo sintomo ha una causa ben precisa.
Quando immettiamo aria nei polmoni, l’ossigeno in essa contenuto si lega ai globuli rossi del sangue, che lo trasportano e lo mettono a disposizione di tutte le cellule del corpo, comprese quelle del cervello. Per rilasciarlo, però, i globuli rossi hanno bisogno di anidride carbonica.
Molto spesso, poco prima o durante l’attacco di panico il ritmo respiratorio cambia. In altre parole, si iperventila. L’iperventilazione produce l’introiezione di più ossigeno di quanto non sia necessario e ciò produce uno squilibrio fra la quantità d’ossigeno e d’anidride carbonica, a danno di quest’ultima. Così, i globuli rossi non possono liberarsi dell’ossigeno che trasportano, il quale non viene consegnato alle cellule e ai tessuti. Il risultato è la sensazione di mancanza d’aria, di confusione e di “testa leggera”. Ai tessuti manca ossigeno pur essendone, il sangue, pieno.
La prima tecnica da padroneggiare, per chi soffre di attacchi di panico, è la respirazione lenta. Questo strumento, semplice da impiegare, serve soprattutto qualora ci si accorga che il proprio ritmo respiratorio è alterato e non si riesca a ristabilirlo in altro modo. La tecnica si compone di 4 step.
Altro sintomo che il panico condivide con l’ansia intensa è la tensione muscolare eccessiva. I due effetti della tensione muscolare sono la sensazione di rigidità e di mollezza delle gambe e delle braccia. Questi sintomi, a prima vista opposti uno all’altro, in realtà sono la naturale conseguenza del lavoro muscolare prolungato. Una semplice tecnica di rilassamento è il Rilassamento Isometrico che, come dice il nome stesso, non prevede l’allungamento dei muscoli ma solo l’applicazione di una leggera tensione seguita dalla distensione. Ecco un esempio di Rilassamento Isometrico applicato alle gambe.
Il Rilassamento Isometrico è efficace per ottenere un rilassamento “al bisogno”. Se occorre raggiungere un rilassamento più profondo e completo la tecnica d’elezione è, invece, il Training Autogeno.
Oltre ad avere una componente fisica, il panico riguarda i processi cognitivi di base, prima fra tutti l’attenzione. Chi soffre di attacchi di panico si abitua a centrare l’attenzione sul proprio corpo, nella convinzione di poter impedire o per lo meno prevedere il prossimo episodio. In coloro in cui l’attacco inizia con la tachicardia è probabile che l’attenzione sia spesso centrata sul cuore, se il panico è solito iniziare con la respirazione affannosa è probabile che l’attenzione si fissi sul respiro. L’abitudine diviene in breve tempo molto radicata e produce un effetto negativo: ci si sensibilizza a ogni minima alterazione di tensione o comparsa sintomatologica. Di conseguenza, l’insorgenza di un nuovo attacco di panico diviene più probabile.
Per mezzo del Training Attentivo e della ristrutturazione metacognitiva il paziente diviene in grado di rientrare in possesso della propria attenzione e di centrarla su stimoli neutri o esterni. Di restare, cioè, a mente sgombra. Nella figura seguente vi è un raffronto fra chi, trovandosi su un treno, si centra su stimoli negativi e chi, invece, attua l’osservazione neutrale. Come si vede, le conseguenze dei due modi d’agire sono ben diverse.
Molti di coloro che hanno attacchi di panico si abituano a temere le situazioni in cui sono stati male e a non frequentarle più, anche se da quanto detto fin qui sarà ormai chiaro che non sono quest’ultime a provocare l’attacco di panico, ma il modo in cui l’individuo ragiona, sente e gestisce la propria tensione fisica. Per queste persone molte circostanze possono essere difficili da affrontare. Le principali, però, sono:
Le tecniche di rilassamento descritte in precedenza danno la possibilità di gestire i sintomi dell’ansia e del panico e, in realtà, se ben applicate sono sufficienti per impedirne l’insorgenza. Da sole, tuttavia, possono non bastare per convincere il paziente a tornare a esporsi a certe situazioni. Per questo motivo il trattamento cognitivo-comportamentale del Disturbo di Panico si avvale anche della tecnica dell’esposizione graduale.
Per condurre l’esposizione graduale occorre, innanzitutto, allenarsi all’utilizzo della Scala USM. A ciascuna situazione temuta si assegna un valore compreso fra 0 e 100, dove 0 indica un completo rilassamento e 100 indica una condizione di massimo malessere.
Con l’ausilio della Scala USM si procede alla stesura del piano d’esposizione, da curare sempre con estrema cautela perché una scorretta individuazione degli step o errori di procedura possono limitare i benefici o ripristinare i sintomi del panico.
Il metodo dell’esposizione graduale consiste nella scomposizione di ciascuna situazione temuta in step, ordinati partendo dal meno ansiogeno. Consideriamo l’esempio di un paziente che, per timore dell’attacco di panico, ha smesso di guidare. Un buon piano d’esposizione potrebbe essere il seguente:
Servendosi delle tecniche apprese, il paziente può riuscire a esporsi senza eccessiva tensione al primo step. Se dopo varie ripetizioni riesce a esporsi senza più ansia, al momento di affrontare il secondo step noterà, già in partenza, minore tensione del previsto. Ogni prova superata, infatti, ha un effetto decondizionante anche su quelle successive.
L’esposizione graduale richiede un tempo che varia in base al numero d’evitamenti e alla persistenza dei sintomi, ma è la tecnica in assoluto più efficace per risolvere il principale effetto collaterale del Disturbo di Panico, l’agorafobia.
L’analisi funzionale, le tecniche di rilassamento e l’esposizione graduale, se ben condotte e se non vi sono complicanze di rilievo, sono sufficienti per risolvere il Disturbo di Panico e l’agorafobia.
Per coloro che soffrono di questo problema, tuttavia, l’evitamento di certe situazioni non è fine a se stesso, ma ha lo scopo di impedire l’insorgenza dei sintomi dell’attacco di panico. Si può dire che ciò che cercano di evitare, in realtà, sono proprio i sintomi. Purtroppo, però, tutti gli evitamenti, per il principio del “rinforzo negativo”, accrescono la paura e il bisogno di evitare. In definitiva, questa è la ragione che rende controproducente l’impiego di farmaci ansiolitici nella cura del Disturbo di Panico. Pur essendo efficaci nell’abbassare i sintomi dell’ansia, impediscono al paziente di esporvisi e di imparare a contrastarla. Sempre meno abituato a sentirla e a gestirla in prima persona, avrà sempre più bisogno di assumere farmaci per sentirsi tranquillo.
Qualora i sintomi siano resistenti alle tecniche di rilassamento e all’esposizione graduale, può essere utile introdurre la tecnica dell’esposizione enterocettiva. Prevedendo esercizi piuttosto impegnativi, questa tecnica dovrebbe essere proposta con i dovuti accorgimenti. Come per l’esposizione graduale, inoltre, si sconsiglia di attuarla senza la supervisione di un operatore esperto, almeno all’inizio.
L’esposizione enterocettiva prevede che il paziente, in modo volontario, si generi i sintomi del panico. A questo scopo è sufficiente svolgere esercizi fisici mirati. Per esempio, per riprodurre la sensazione di sbandamento si fa oscillare la testa, prima verso una spalla e poi verso l’altra, per mezzo minuto. Per riprodurre la sensazione di “fame d’aria” si respira in una cannuccia per un minuto, tappandosi il naso. Per riprodurre la tachicardia si sale e scende più volte da un gradino o da uno sgabello basso.
Per applicare la tecnica dell’esposizione enterocettiva occorre prima di tutto individuare la “catena” di sintomi di cui l’attacco di panico è composto. In alcune persone, infatti, tutto inizia dalle palpitazioni, in altre da un’improvvisa vampata di caldo, in altre ancora dalla sensazione di sbandamento.
Fatto ciò, si inizia dall’esercizio che suscita minor ansia e lo si ripete tante volte quanto necessario. Quando si è ottenuta una significativa diminuzione delle reazioni ansiose si passa a quello successivo. Oltre che rispettare i criteri di progressività, il paziente che vuole trarre il massimo beneficio da questi esercizi deve:
Se ben condotto, questo metodo è efficace nel desensibilizzare il paziente alla sgradevolezza dei sintomi dell’ansia. In questo modo, gli attacchi di panico diventano ancor meno probabili.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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