Orientarsi nel labirinto delle varie possibilità di trattamento può non essere un’impresa semplice. In questa pagina proveremo a fare un po’ di chiarezza, rispondendo ai dubbi più comuni e descrivendo i quattro obiettivi che ogni buona psicoterapia dovrebbe porsi.
Sui social, nei blog, in tv, ovunque puoi trovare consigli su come fare per sentirsi sicuri, superare timidezza e paure, essere felici. Di psicologia, in un modo o nell’altro, si finisce per parlare spesso.
E di psicoterapia? Grazie ai numerosi film che se ne sono occupati, diverse volte lo spettatore è entrato nello studio del terapeuta.
Ma, ancora oggi, il falso mito dello specialista “che cura i matti”, residuo di convinzioni ottocentesche dure a morire, impedisce a molti di avvicinarsi a questa disciplina che, in fondo, è solo un modo per prendersi cura di se stessi.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza, innanzitutto riassumendo i tre modelli ai quali si rifanno la maggior parte dei terapeuti.
La psicanalisi classica si basa sulla convinzione che la psicopatologia sia la conseguenza di “nodi da sciogliere” sommersi nell’inconscio e dissimulati dalle automatiche difese erette dalla mente. Teoria che prende le mosse dal pensiero di Sigmund Freud, secondo il quale il comportamento umano è motivato, per lo più, dalla ricerca del piacere e da istinti aggressivi, antisociali, verso se stessi e gli altri. L’Es, la parte di noi che contiene questa energia pulsionale e che pretenderebbe gratificazione immediata, è tenuto a freno dal Super Io, che rappresenta il nostro lato morale e incarna i limiti imposti dalla società. Secondo la psicanalisi è questo conflitto intrapsichico a causare l’ansia e l’angoscia.
Di opposto avviso è Carl Rogers, il principale esponente del cosiddetto approccio fenomenologico. Rogers è convinto che la natura dell’essere umano sia sociale, cooperativa e protesa verso l’autorealizzazione, ma che tale predisposizione sia condizionata dal tipo di accudimento ricevuto da bambini. Da piccolo i tuoi genitori ti hanno manifestato un amore genuino anche quando non approvavano i tuoi comportamenti? Secondo Rogers ciò può averti insegnato a sentirti libero di esprimere quello che sei. Ti accettavano e consideravano, al contrario, solo quando assecondavi i loro principi e modi d’essere? Forse, allora, ti sarai formato la convinzione che ci sia qualcosa di sbagliato in te, e che sia meglio nasconderlo. Da qui la bassa autostima e la patologica ricerca di approvazione.
L’approccio cognitivo-comportamentale, infine, nasce dalla ricerca sperimentale sui processi di pensiero e sul comportamento. Nella sua moderna formulazione si fonda sull’assunto secondo il quale la mente umana attribuisce un senso del tutto soggettivo alle esperienze. In quest’ottica, che riprende in chiave scientifica il pensiero delle antiche tradizioni filosofiche orientali, la psicopatologia è il prodotto di un certo modo di guardare la realtà, più che di oggettive condizioni esterne. Comunque, parlare di terapia cognitivo-comportamentale può generare malintesi, visto che la vastità di studi e di ricerche in questo campo è tale da avere generato un abbondante fiorire di approcci molto diversi, fra i quali sono da citare l’ACT, la Schema Therapy e la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale.
In un simile labirinto di approcci terapeutici, orientarsi può non essere un’impresa semplice. E questo può scoraggiare chi vorrebbe avvicinarvisi. Come scegliere, allora, il metodo e il professionista giusti?
Secondo noi, sono quattro gli obiettivi che ogni buon psicoterapeuta dovrebbe porsi, a prescindere dall’approccio che segue.
1. Promuovere il cambiamento. Che tu intraprenda una psicoterapia a causa dei sintomi dell’ansia e del panico, di una depressione dalla quale non sai come uscire o dell’insoddisfazione per come sta andando la tua vita, in fondo ciò che chiedi è un cambiamento.
La tendenza a pensare a se stessi in termini valutativi e a rimuginare sulle proprie mancanze. La paura dell’errore e del pentimento che ti porta all’inerzia e all’incapacità di compiere scelte; i continui paragoni fra te e gli altri, presupponendo già in partenza di non essere all’altezza. Abitudini come queste non possono che causare conseguenze nefaste. La psicoterapia è il contesto in cui fare un tentativo di affrontare ciò che ti fa soffrire in modo diverso da come hai sempre fatto.
2. Promuovere flessibilità e apertura. Per flessibilità s’intende la capacità di adattare il proprio comportamento: è flessibile chi sa essere, all’occorrenza, perentorio nel lavoro ma dolce con i figli. Chi, a seconda delle circostanze, sa agire o frenarsi. L’apertura, invece, è la capacità di rivolgersi agli altri e a se stessi, ai propri bisogni ed emozioni con atteggiamento non valutativo. Uno psicologo cognitivista ti direbbe che buona parte dei tuoi problemi sono causati dalla rigidità e dall’incapacità di apprezzare o valorizzare le esperienze a meno che esse non siano esattamente come vorresti. In effetti, la capacità di trarre piacere dal presente è essenziale per la salute psichica e una psicoterapia che non si ponga l’obiettivo di accrescere apertura e flessibilità ha scarse probabilità di produrre effetti sostanziali.
3. Promuovere la libertà dal tuo passato. Dentro la tua mente c’è una sorta di racconto, che ti parla di te come di una persona apprezzabile, amabile, degna di considerazione, oppure immeritevole d’affetto, inferiore, inadeguata. Questo, direbbe Carl Rogers, a seconda di come sei stato trattato quando eri piccolo. Il distacco e la freddezza, l’atteggiamento critico e aggressivo sono, per esempio, comportamenti genitoriali che inducono il figlio a formarsi un’idea sprezzante di se stesso.
Buono o cattivo che sia, questo racconto condiziona pensieri, sentimenti, azioni e scelte. Essere in grado di prenderne le distanze, nella consapevolezza che il suo contenuto è frutto di esperienze e ricordi e non per forza dice la verità sul tuo conto può liberarti dall’influenza che, ancora oggi, il passato esercita su di te.
4. Promuovere un’azione orientata ai tuoi valori. Ogni bambino sa intuire le aspettative che la mamma e il papà nutrono nei suoi confronti, quali azioni susciteranno il loro biasimo e quali, invece, lodi. La naturale tendenza dei più piccoli ad accondiscendere per ottenere approvazione pone il genitore di fronte a una sfida educativa complessa. Perché, certo, è indispensabile dare ai bambini limiti ben chiari, per “educare” quello che Freud chiamava Es. Ma i bambini, a loro volta, hanno bisogno di sentirsi autentici, di imparare a ragionare con la loro testa.
L’accondiscendenza, abitudine a torto confusa con il rispetto delle regole, può protrarsi fino all’età adulta. Ed è una sicura fonte di dolore. Nel tentativo disperato di soddisfare le aspettative altrui o di assomigliare alle persone “di successo”, accantoni i tuoi punti di riferimento: valori, passioni, inclinazioni. Finché ti sembra di non sapere più chi sei e cosa ritieni importante.
Coltivare genuinità e libertà dovrebbe essere uno degli scopi di ogni psicoterapia. Compito delicato per il terapeuta, il quale deve svolgerlo indirizzando il meno possibile, per evitare di essere l’ennesima persona che indica al paziente come vivere la sua vita.
DOMANDA. Come può essermi utile una psicoterapia?
RISPOSTA. Questa domanda ci viene rivolta in svariate forme: “Lo psicoterapeuta è davvero la figura adatta a me?”; “Una psicoterapia può migliorare il modo in cui mi sento?”; “Sono gli altri il mio problema, a cosa può servirmi uno psicologo?”. Una psicoterapia può esserti utile se non riesci a controllare l’ansia, il rimuginio, la rabbia, se l’apatia ti impedisce di ricavare piacere dalla vita o una grave perdita, un lutto o un abbandono, ti hanno privato del senso e della gioia di vivere, se la demotivazione ti ha portato all’inerzia, se una cronica indecisione o un’insicurezza paralizzante ti fanno perdere occasioni preziose. Se, per qualsiasi ragione, ti senti a un punto morto e credi sia arrivato il momento di agire.
DOMANDA. Quanto dura una psicoterapia?
RISPOSTA. La potenziale durata della psicoterapia può scoraggiare a intraprenderne una, quindi il bisogno di chiedere lumi in proposito è tanto legittimo quanto comprensibile. Purtroppo, però, è impossibile fornire indicazioni precise. Sarebbe come cercare di rispondere alla domanda: “Quanto tempo occorre per spegnere un incendio?”. Le variabili che accorciano o prolungano una psicoterapia sono numerose. La complessità del problema, per esempio, e il grado in cui riesci a impegnarti nel processo di cambiamento. Ricorda: in seduta, il terapeuta non fa qualcosa a te, ma assieme a te. Motivazione e coinvolgimento sono indispensabili per la buona riuscita della terapia e incidono sulla sua durata.
DOMANDA. Ma, allora, le cosiddette “terapie brevi” funzionano?
RISPOSTA. Non è sensato aspettarsi che una psicoterapia efficace possa risolversi in qualche seduta e, secondo noi, non è onesto prometterlo, né lasciarlo intendere. Semplificando, potremmo dire che fare psicoterapia equivalga a imparare un nuovo sport. La differenza è che, invece che nuovi gesti atletici, si apprendono nuovi gesti mentali: impegno e costanza fanno la differenza, ma occorre pur sempre tempo. Non puoi diventare un bravo tennista in qualche settimana, nemmeno se possiedi uno straordinario talento o se giochi tutti i giorni.
DOMANDA. E gli psicofarmaci? Possono sostituire la psicoterapia?
RISPOSTA. Psicofarmaci è il termine generico con il quale si indica un’ampia classe di medicinali, ciascuno con peculiari indicazioni terapeutiche. Rientrano in questa categoria, per esempio, gli antidepressivi, le benzodiazepine e i neurolettici. Il tema dell’impiego degli psicofarmaci è complesso e ogni specialista ha una certa opinione in merito. A nostro avviso, in alcuni casi è consigliabile e può coadiuvare la psicoterapia. In altri, invece, può non essere necessario e, anzi, ostacolare il lavoro terapeutico. Noi crediamo, per esempio, che l’ansia non dovrebbe essere trattata con psicofarmaci e, sebbene possa sembrare un paradosso, soprattutto non con gli ansiolitici, se non qualora vi siano complicanze o non vi sia scelta. Siamo altresì convinti che gli psicofarmaci, in generale, non possano sostituirsi a una psicoterapia. Quest’ultima si prefigge di aiutarti a sviluppare un approccio mentale differente, di liberarti da ciò che ti condiziona in modo che tu possa vivere, esistere, come ritieni opportuno. Cosa ben diversa della semplice regolazione di sintomi.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
leggi altro su