Vivere un evento traumatico può cambiare la propria visione del mondo e provocare sintomi durevoli e invalidanti. Superare un trauma e le sue conseguenze, però, è possibile. Scopri come il nostro Studio affronta questo disturbo.
Che gli eventi negativi producano conseguenze psicologiche è un fatto ben noto da migliaia di anni. I primi studi scientifici in tal senso, tuttavia, sono piuttosto recenti e risalgono alla Prima Guerra Mondiale. Forse nessuna poesia al pari di “Soldati” di Giuseppe Ungaretti, scritta proprio in quel periodo, descrive il senso di precarietà vissuto da chi, giorno dopo giorno, attendeva il proprio destino nella buca di una trincea: “si sta come d’autunno, sugli alberi le foglie”.
Per via del fatto che i primi studi sui traumi prendevano in considerazione solo quelli da esposizione ai bombardamenti, all’inizio si pensava che i sintomi fossero il risultato di un danno neurologico causato dalle esplosioni. Solo in seguito si dimostrò la prevalenza della base psicologica e il fatto che, a prescindere dall’evento scatenante, i sintomi dei traumi sono sempre gli stessi. L’ottundimento e il profondo disagio sono reazioni normali a tutte le esperienze sconvolgenti. Gravi incendi, terremoti, incidenti stradali, rapine, attentati o altre aggressioni sono tutte circostanze in grado di sovvertire la nostra percezione della normalità e di farci sentire impotenti e vulnerabili.
Nella maggior parte dei casi tali reazioni sono transitorie; il cervello attua meccanismi autocurativi che, pur richiedendo tempo, “riassorbono” in modo naturale gli effetti principali dello shock.
In altri casi, tuttavia, e soprattutto se l’individuo ha certe caratteristiche di vulnerabilità ai traumi, i sintomi possono perdurare fino ad assumere i connotati del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Chi ne soffre ha ricordi, immagini e pensieri intrusivi legati all’evento, anche a distanza di settimane o mesi, sente ansia quando si trova in situazioni in qualche modo simili a quella in cui l’evento è avvenuto e, perciò, di solito cerca di evitarle. Si sforza di distrarsi ma, come se fosse impossibile farlo, si trova a pensare e ripensare all’accaduto. Altri effetti collaterali, quali gli attacchi di panico e la depressione, possono concorrere ad aggravare il quadro. Essi sono, rispettivamente, la conseguenza dell’ansia prolungata e della sensazione d’impotenza indotta dal trauma stesso.
Le limitazioni e le conseguenze a lungo termine che i traumi e il Disturbo da Stress Post-Traumatico possono produrre sono il motivo principale per cui è importante agire da un punto di vista psicoterapeutico.
Il comprensibile desiderio di chi ha vissuto un’esperienza traumatica è eliminarla dalla memoria e tornare a vivere come se non fosse mai accaduta. Purtroppo, in questi termini, l’obiettivo non è realizzabile. Anzi, il tentativo di eliminare l’evento traumatico dalla coscienza è una delle cause che ne impediscono l’elaborazione e il superamento. Lo scopo ideale della terapia di un trauma, quindi, è lavorare insieme con il paziente perché egli riesca a considerarlo un’esperienza negativa in mezzo ad altre positive.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico produce sintomi sia emotivi, sia cognitivi, sia comportamentali. Per questa ragione il trattamento è incentrato, allo stesso tempo, su tutti questi livelli, che di seguito saranno spiegati uno per volta.
Prima di cominciare, tuttavia, è doveroso precisare che il trattamento di questo disturbo è tanto efficace quanto più viene intrapreso con rapidità; esprime i suoi massimi effetti su sintomi che non si sono ancora cronicizzati e, soprattutto, che non hanno prodotto disturbi secondari quali la depressione e l’abuso di alcol o sostanze, una conseguenza purtroppo non rara.
Ogni trauma, a prescindere da ciò che l’ha causato, spezza il legame fra l’individuo e il resto del mondo e tende a generare due particolari modi di sentire: la vulnerabilità e la sfiducia. Per vulnerabilità si intende la sensazione di non essere abbastanza forti o protetti per difendersi dai pericoli ed è, questo, il sentimento da cui scaturisce l’ansia e la continua convinzione che qualcosa di brutto possa accadere. Per sfiducia si intende invece la sensazione di non potersi fidare degli altri e che il mondo sia un luogo in cui si viene solo manipolati, traditi, raggirati, feriti e usati. Chi sente sfiducia è convinto che le persone non siano oneste né che abbiano a cuore i bisogni altrui. Vede l’umanità come indifferente, quando non ostile.
Il senso di vulnerabilità e la sfiducia sono effetti simultanei del trauma, due facce della stessa medaglia. Occorre precisare, però, che il senso di vulnerabilità è la conseguenza più tipica di quei traumi causati da eventi naturali, fra cui gli incendi e i terremoti e quelli accidentali, come gli incidenti stradali. La sfiducia negli altri, invece, è la conseguenza più comune delle rapine, degli stupri o di altre aggressioni intenzionali.
Nel trattamento del Disturbo da Stress Post-Traumatico la relazione terapeutica riveste un’importanza cruciale. Il terapeuta è chiamato a condividere con il paziente il carico emotivo della sua storia e dell’evento che l’ha segnata. L’empatia e la capacità di capire sono fondamentali per far sapere al paziente che non è solo e che l’idea di non potersi fidare di nessuno può essere, almeno per un po’, lasciata da parte. Il ruolo del terapeuta prevede che egli sappia fare da “cerniera” fra il paziente e il mondo, dal quale quest’ultimo si sente estraniato.
L’esposizione ai ricordi dell’evento, tramite il racconto e le tecniche immaginative, richiede fiducia da parte del paziente nella capacità del terapeuta di ascoltare e capire senza emettere giudizi. Raccontare di sé non è mai semplice e lo è ancor meno quando si è stati testimoni o vittime di qualcosa di drammatico. La vergogna e il senso d’inadeguatezza sono sentimenti comuni che il terapeuta coglie fornendo supporto, anche tecnico. Attraverso il metodo dell’esposizione graduale in immaginazione, per esempio, è possibile entrare in contatto con l’evento traumatico senza doverne sopportare tutto il carico emotivo, la paura e il senso di vulnerabilità.
Un approfondimento a parte merita il senso di colpa, spesso presente e che può dipendere dal fatto di essere sopravvissuti, di sentire di non aver fatto abbastanza per evitare il peggio o di credere di avere una responsabilità in ciò che è accaduto. È importante incoraggiare il paziente a esprimere il proprio senso di colpa, accogliendolo senza dare giudizi morali, senza minimizzarlo e riuscendo a cogliere le mille sfumature che esso può assumere. L’eventuale senso di colpa legato a una violenza sessuale, infatti, è di sicuro di altra natura rispetto a quello che si può sentire a seguito di un incidente stradale e, perciò, richiede un approccio differente.
Per natura e per via della sua eccezionalità, ogni esperienza traumatica sconvolge la vecchia interpretazione del mondo che, quindi, non è più del tutto applicabile. L’evento traumatico mette in discussione il modo in cui, prima dell’accaduto, l’individuo vedeva se stesso e gli altri, i propri valori e aspettative.
Chi ha vissuto un trauma tende a ripensarci allo scopo, spesso non del tutto consapevole, di integrare ciò che è accaduto nella sua precedente visione del mondo. Purtroppo, però, molto spesso questo tentativo fallisce. L’oscillazione ambivalente fra il rimuginio ossessivo dell’evento traumatico e il tentativo di cancellarlo dalla memoria si spiega proprio alla luce del fatto che, da una parte, il ricordo provoca emozioni dalle quali si vorrebbe restare lontani, mentre dall’altra rimane il bisogno di pensarci per dargli un senso.
Questo rapporto ambivalente nei confronti del trauma è fra i responsabili, in definitiva, della maggior parte dei sintomi del Disturbo da Stress Post-Traumatico. L’obiettivo del trattamento è risolverlo e, a questo scopo, si considerano le cause che lo mantengono in vita, prime fra tutte le metacognizioni che, in sintesi, possiamo definire come convinzioni implicite e automatiche relative ai pensieri. Le metacognizioni sono convinzioni che ciascuno di noi possiede senza accorgersene. “Se penso a ciò che mi preoccupa, troverò una soluzione” è un esempio di metacognizione e rientra nella categoria delle metacognizioni di utilità perché consiste, appunto, nella convinzione che pensare sia utile per risolvere le preoccupazioni.
Nel Disturbo da Stress Post-Traumatico si osserva spesso la presenza di metacognizioni disfunzionali, fra cui:
Tutte le precedenti sono metacognizioni di utilità, di inevitabilità e di responsabilità. Contengono in sé il messaggio secondo cui pensare è utile, inevitabile, doveroso.
Da questo punto di vista, lo scopo del trattamento è modificare, insieme con il paziente, le metacognizioni disfunzionali e, allo stesso tempo, sviluppare un nuovo modo di stare in contatto con i pensieri traumatici quando si presentano, non più come se fossero qualcosa da capire o risolvere ma come eventi mentali che si possono, con i giusti mezzi, neutralizzare osservandoli senza controllarli o giudicarli.
Una conseguenza non trascurabile del Disturbo da Stress Post-Traumatico è l’evitamento delle situazioni collegate al trauma. L’istinto a evitare sembra, almeno in parte, sotto il controllo del temperamento e alcune persone più di altre tendono, per natura, a ricorrere a questa azione quando sentono paura. Inoltre, fuggire è un’azione motivata dal fatto che porta benefici sul breve termine perché abbassa l’ansia anche se, purtroppo, a lungo andare finisce sempre per provocare la conseguenza opposta.
Ciò che più peggiora la vita quotidiana di chi soffre di Disturbo da Stress Post-Traumatico è non riuscire più a sentirsi libero come prima. Nel caso di un incidente stradale, per esempio, in seguito si potrebbe non riuscire a mettersi alla guida e nemmeno a salire in auto accompagnati da altri. Nel caso in cui il trauma sia legato a un’aggressione la difficoltà potrebbe consistere nell’uscire da soli, nel frequentare luoghi non familiari o in alcune ore del giorno, per esempio la sera.
Da un punto di vista comportamentale, il trattamento prevede l’esposizione graduale alle situazioni temute. Spesso i pazienti trovano questo step difficile ed è per questo che si imposta a partire dai bisogni, dalle esigenze e dalle tempistiche dettate da loro stessi. In altre parole, si intraprende solo quando è il momento e con accorgimenti particolari.
Esporsi alle situazioni temute non è facile perché esse, provocando ansia, possono apparire intollerabili e capaci di far perdere il controllo sulla paura. La terapia dell’esposizione, se ben condotta, fin da subito dimostra al paziente che non è così. Ma per essere efficace deve essere condotta con una conoscenza precisa del metodo. In caso contrario può produrre gli effetti opposti.
Di seguito, i requisiti di una buona esposizione graduale:
Nonostante le possibili difficoltà iniziali, quella dell’esposizione graduale è la parte del trattamento che restituisce al paziente il maggior sollievo perché gli dà modo di riappropriarsi dei suoi spazi e di riuscire a tornare a praticare attività da cui si sentiva ormai escluso.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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