disturbi d'ansia e ossessivi

Psicoterapia o psicofarmaci? Consigli per gli ansiosi

Hai mai riflettuto sulle ragioni della tua ansia? E se la tensione che ti prende in certe situazioni non fosse altro che l’appariscente effetto di qualcosa che trascuri, o che sottovaluti?

psicoterapia o farmaci per l'ansia?

In corridoio, seduto di fronte alla porta dell’aula in cui si stanno svolgendo le interrogazioni, ti giunge il borbottio ovattato della voce del professore. Intanto avverti ogni singolo battito del cuore nello stomaco, nei polsi, nelle orecchie. Hai le mani e le ascelle sudate. Le gambe, le braccia e il collo ridotti a un fascio di nervi. Fra poco toccherà a te…

E se, proprio al momento sbagliato, mi facessi prendere dal panico? Il professore potrebbe spazientirsi e bocciarmi!”.

Temi di non ricordarti più nemmeno una riga del programma. Provi a passare in rassegna un argomento fra i tanti che hai studiato ma, con orrore, scopri di avere un vuoto di memoria.

Ti sembra scontato: le settimane spese a preparare l’esame sono state uno spreco di tempo e fra poco ne avrai la prova definitiva.

Vorresti solo darti alla fuga, mettere più distanza possibile fra te e l’inevitabile figuraccia. Sparire.

Questa è una descrizione di un tipico attacco d’ansia. Del tipo che paralizza.

Hai mai riflettuto sul perché, in certe situazioni, ti capita di sentirti tanto agitato? Potresti credere che la ragione sia nascosta nel passato: “Non ho fiducia nei miei mezzi, nessuno ne ha mai avuta”. Nel carattere: “Sono un tipo nervoso, sono fatto così”. Nei geni: “Sono ansioso di famiglia”.

E se, invece, l’ansia non fosse altro che l’appariscente effetto di qualcosa che non vedi? Forse i tuoi tentativi di tranquillizzarti non funzionano per un motivo che stai sottovalutando.

Ma procediamo con ordine: innanzitutto è importante che tu sappia cos’è l’ansia. E cosa non è.

L’ansia non è una malattia, anche se a volte può sembrare tale

L’ansia è un’emozione e ha uno scopo ben preciso: la tachicardia, il respiro accelerato, la tensione muscolare sono finalizzati a metterti in guardia dai pericoli e in grado d’affrontarli. In fisiologia si chiama riposta d’attacco-o-fuga.

Non credi che una simile tensione sia utile in circostanze nelle quali, al contrario, sarebbe meglio restare lucidi e presenti? Non hai tutti i torti. Ma considera che, per milioni di anni, l’ansia ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere ad aggressivi e famelici predatori, alle scorribande di gruppi rivali e a chissà quanti altri pericoli mortali; è stata una preziosa alleata in epoche in cui occorreva essere sempre pronti a combattere o a darsela a gambe.

Quale rischio per la sopravvivenza potrà mai rappresentare una bocciatura? Nessuno, verrebbe da dire. Ma, allora, perché il panico da esami?

L’ansia è generata da percezioni: non serve che il pericolo sia concreto. Basta che tu lo ritenga tale e la risposta d’attacco-o-fuga si attiverà.

Ansiolitici e sedativi: il modo peggiore per affrontare l’ansia

L’ansia eccessiva può causare effetti paradossali sul corpo e sulla mente e, da emozione funzionale alla sopravvivenza, può diventare un ostacolo.

Ecco, allora, le benzodiazepine, vasta categoria di farmaci che comprende gli ansiolitici, i sedativi e gli ipnotici. A livello chimico le benzodiazepine amplificano l’effetto, sul recettore GABA-A, del neurotrasmettitore acido gamma-aminobutirrico (GABA). Da qui le proprietà ansiolitiche, sedative, anestetiche, ipnotiche, anticonvulsive e miorilassanti.

Oltre che nell’ansia acuta, questi farmaci sono impiegati in un’ampia varietà di disturbi, fra i quali l’epilessia, gli spasmi muscolari, la sindrome delle gambe senza riposo e l’insonnia.

A seconda dei sintomi riferiti dal paziente il medico prescrive un farmaco anziché l’altro. Essenziale, in questo senso, è la cosiddetta emivita dello specifico prodotto.

Fra le benzodiazepine con emivita maggiore di 48 ore, il cui effetto cioè, dura più di due giorni, vi sono il diazepam, commercializzato sotto vari nomi, fra cui Valium e Tranquirit e il prazepam, meglio noto come Prazene.

Fra le benzodiazepine con emivita compresa fra le 24 e le 48 ore citiamo il bromazepam, principio attivo del Lexotan. E il clonazepam, contenuto nel Rivotril.

Infine, le benzodiazepine con emivita da 1 a 7 ore sono impiegate laddove si desideri un effetto terapeutico a corto raggio, come nel trattamento dell’insonnia. E, infatti, sono commercializzate con suggestivi nomi quali Noctamid, Dormicum, Lendormin.

Effetti indesiderati comuni dell’impiego delle benzodiazepine sono la sonnolenza, le vertigini, i deficit di memoria, la diminuzione della vigilanza, della concentrazione e della libido. Più rari, ma rilevanti, sono la nausea e i cambiamenti d’appetito, la visione offuscata, la confusione e la depersonalizzazione. Fra i cosiddetti effetti paradossi, poi, vi sono l’irritabilità, l’aggressività e l’impulsività.

I rischi maggiori dell’impiego di benzodiazepine, tuttavia, sono l’assuefazione, l’astinenza e la dipendenza.

Con il termine assuefazione si intende la progressiva diminuzione dell’efficacia e, quindi, la necessità di dosi sempre maggiori di farmaco per ricavarne beneficio. Nel caso delle benzodiazepine l’assuefazione può verificarsi anche dopo periodi di soli quattro, sei mesi di consumo regolare.

Si parla d’astinenza, invece, per indicare gli effetti collaterali indotti dalla sospensione dell’impiego del farmaco. Condizione, spesso, legata al rebound, cioè al ripresentarsi degli stessi sintomi per il quale si era intrapreso il trattamento. Fra questi citiamo l’insonnia, l’ansia e gli attacchi di panico, la tachicardia, i tremori, l’abbassamento dell’umore, l’agitazione e gli spasmi muscolari.

Sintomi d’astinenza possono sopraggiungere a seguito dell’interruzione del farmaco dopo sole tre-quattro settimane d’assunzione intensa e sono segno di dipendenza fisiologica.

Al rischio di dipendenza fisiologica si somma quello della dipendenza psicologica, la quale è legata all’abituazione e alla sensibilizzazione, processi fisiologici relativi alla biochimica del sistema nervoso.

Immagina di avere traslocato in un appartamento affacciato su una via trafficata. Dopo un breve periodo di cattivo sonno, pian piano hai smesso di fare caso al rumore delle auto e, alla fine, hai imparato ad addormentarti senza difficoltà. Ti sei abituato. Con questo termine si intende la progressiva diminuzione di una risposta al ripresentarsi di uno stimolo.

Mettiamo invece che, snervato, già dopo le prime notti insonni tu abbia fatto installare finestre insonorizzate della massima qualità. Ottima notizia, il molesto baccano è sparito! Ma, purtroppo, dormendo nel silenzio assoluto la tua soglia percettiva si sarà via via abbassata e, ora, il minimo rumore potrebbe risvegliarti. Ti sei sensibilizzato.

Le benzodiazepine, impedendoti di esporti all’ansia, possono fare in modo che tu non ti abitui a essa e che, anzi, ti sensibilizzi. Percependo più intensi i sintomi, sentirai un maggiore bisogno del farmaco.

Evitamento ed esposizione: ecco perché l’ansia, a volte, peggiora

Ma io ho ansia diverse ore al giorno, quasi tutti i giorni! Dovrei essermi esposto abbastanza, ormai! Eppure non passa!”. Tanti studenti, anche dopo aver sostenuto numerosi esami con buon profitto, continuano a essere perseguitati dal terrore delle interrogazioni. Perché?

Un’ottima domanda. Per rispondere occorre stabilire in modo preciso cosa significhi evitare ed esporsi all’ansia.

Evitamento è qualsiasi comportamento che presupponga chiusura verso l’ansia e le paure che vi stanno alla base.

Esposizione, viceversa, è qualsiasi comportamento che presupponga un atteggiamento di apertura verso l’ansia e le sue ragioni sottostanti.

Restare in contatto con l’ansia può non determinare abituazione. Questo, perché non tutte le esposizioni sono vere esposizioni. Aspettare di essere interrogati all’esame cercando in ogni modo di sopprimere i sintomi dell’ansia è un evitamento tanto quanto non presentarsi all’esame. E l’esito sarà simile: in futuro non diventerai meno teso.

Gli evitamenti, impedendo il contatto con l’ansia ostacolano l’abituazione e inducono sensibilizzazione. Riducendo la soglia percettiva fanno sì che tu finisca per avvertire più agitazione. Ciò rende probabile che ti senta costretto ad altri evitamenti, i quali non faranno che peggiorarti l’ansia.

Come si lavora sull’ansia, in psicoterapia

Strano a dirsi, i sintomi dell’ansia assomigliano alle api.

Un’ape ti entra nella stanza, svolazzando fra i mobili. Si posa per qualche istante sulle tende della finestra che, sbadatamente, hai lasciato aperta. Poi riprende il volo e punta verso di te. Perché?

Le api sono attirate dal colore e dal profumo dei fiori. Forse hai indosso un indumento variopinto, utilizzi un deodorante o un profumo che fanno da richiamo. O, magari, il piccolo insetto è solo incuriosito.

L’ape inizia a girarti attorno in rapidi cerchi, ti si posa sulla spalla, ti sfiora una guancia. Come reagiresti? Scappando? Provando a ucciderla?

Ma, così facendo, l’ape si accanirebbe su di te e, forse, ti pungerebbe. Proprio ciò che accade quando vuoi sfuggire all’ansia o eliminarla con stratagemmi: non ti lascia. E peggiora.

Con le api, l’azione meno istintiva è anche la più efficace: restare fermi. L’ape non è lì per pungerti, ma lo farà se le darai modo di sentirsi minacciata. Al contrario, concedile il tempo di accorgersi che non sei un fiore e, vedrai, se ne andrà.

Come si può trasporre lo stesso atteggiamento sull’ansia?

Con il cuore in gola, aspettando di essere interrogato stai rimuginando sul fatto di sentirti tanto sulle spine: “Se solo fossi un po’ meno teso, tutto filerebbe liscio! In fondo sto solo per parlare davanti a un professore!”.

La verità, però, è che l’ansia è solo il sintomo di qualcos’altro.

In preda a visioni catastrofiche su ciò che temi ti succederà da lì a breve, ti rifiuti anche solo di considerare l’idea di dimostrarti impreparato, di essere criticato, mal giudicato, bocciato. Ti opponi, ti chiudi all’eventualità che le cose vadano storte ma, nonostante l’impegno speso nello studio, sai di non poter avere la certezza di impedirlo. Proprio come se fossi su un aereo, a diecimila metri di quota, consapevole del rischio di precipitare e, allo stesso tempo, del fatto che se avvenisse il peggio saresti spacciato.

L’ansia è l’inevitabile conseguenza del “cortocircuito” generato da questa disposizione mentale.

Vorresti alzarti dalla sedia e dileguarti. Ma sai che la carriera universitaria non ne gioverebbe e che, inoltre, la prossima volta l’ansia tornerebbe con ancora maggiore irruenza. Che fare, allora?

Potresti provare ad assumere un atteggiamento di apertura nei confronti delle tue paure.

Una precisazione, prima di continuare. Aprirsi non significa né volere né fare in modo che una certa qual cosa accada. L’apertura presuppone soltanto disponibilità, non desiderio.

Chiudi gli occhi e presta la massima attenzione all’aria che ti entra in bocca, che scende fino ai polmoni, che risale ed esce. Nota come il torace si espande e si contrae. Ti sembra di non riuscire a respirare? Prendi nota tenendoti lontano, se puoi, dai giudizi.

Antichi istinti proveranno a prendere il controllo delle tue azioni: “Sparisci, finché sei in tempo!”. Questa è l’ansia e sta solo facendo il suo “mestiere”, motivandoti ad allontanarti dal pericolo.

Ma non sarebbe saggio assecondarla. Resta concentrato sul respiro qualche manciata di secondi, un minuto ancora. Poi, sposta l’attenzione sulle spalle, sulle gambe, sul collo. Sono irrigiditi? Osserva come la tensione riesca a esprimersi, con tanta intensità, sul fisico. Senti un peso allo stomaco?

Una parte di te vorrebbe solo che stessi meglio prima possibile e farebbe qualsiasi cosa perché ciò accadesse. Se le dessi retta compieresti senz’altro azioni impulsive e controproducenti.

Continua a osservare il tuo corpo in tensione, come fossi davanti a un film o di fronte a un oggetto che non hai mai visto prima. Fallo con occhio nuovo, con curiosità. Applica lo stesso atteggiamento sui pensieri preoccupati che ti affollano la mente. Lascia loro spazio, non giudicarli, non cercare di renderli migliori. Non fare nulla per sopprimerli o per evitarli, osservali. Impara a non agire in alcun modo.

Come faresti con un’ape.

© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.

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