Le dissonnie sono disturbi caratterizzati da alterazioni della quantità o della qualità del sonno e comprendono, oltre alla ben nota insonnia, l’ipersonnolenza e la narcolessia. In questa pagina vedremo da quali sintomi si riconoscono.
Perché dormiamo? A questo interrogativo la scienza non ha ancora dato una risposta definitiva. Per riposarsi e recuperare le energie, verrebbe da dire. Ed è vero. La ridotta attività fisiologica tipica del sonno aiuta a rimettersi in forze.
Ma il recupero psicofisico è solo una delle tante funzioni del sonno. Mentre dormi il cervello si libera dei prodotti di scarto del metabolismo, per esempio delle neurotossine betamiloidi, sfruttando l’espansione in volume di una rete di canali, il sistema glinfatico, nei quali circola liquido cerebrospinale.
Nel sonno, poi, aumenta la velocità di divisione cellulare e avviene gran parte della secrezione della somatotropina, l’ormone GH o “ormone della crescita”, essenziale per lo sviluppo dei più giovani ma anche per la mobilitazione di grassi e lipolisi negli adulti.
Mentre dormi, soprattutto in fase REM, le informazioni immagazzinate si trasformano in memorie permanenti. Ti è mai capitato di scoprire, dopo una buona dormita, di cavartela meglio del giorno prima in una qualche attività?
Negli stadi 3 e 4 della fase non-REM, cioè nel “sonno profondo”, infine, avviene la modulazione della secrezione di interleuchine e chemochine, molecole proteiche della famiglia delle citochine, che regolano il sistema immunitario.
E chissà quali e quante funzioni ancora ignote ha, il sonno. Un vero e proprio “oggetto misterioso”, difficile perfino da definire.
Appunto: che cos’è il sonno? Un’altra domanda la cui risposta, a torto, appare scontata. Potremmo definirlo come uno stato di non-reattività agli stimoli esterni. Ma questo è vero solo in parte. Durante il sonno la soglia percettiva è solo più alta. Se, quando dormi, non fossi in qualche modo in “ascolto” come potrebbero, rumori abbastanza forti, ridestarti?
Dormire, allora, significa perdere consapevolezza? Nemmeno questo è del tutto vero. Mentre dormi l’attività biochimica e neurologica del cervello non si interrompe, sebbene sia diversa da quella che contraddistingue la veglia. Se puoi sognare in prima persona è perché, almeno in parte, anche nel sonno continui a essere presente.
Un terzo delle ore di ogni giorno, poco meno di 30 anni in un’intera vita: è il tempo che passiamo dormendo. Per molti, però, il sonno non è una passeggiata. Ambiente sfavorevole, cattive abitudini, condizioni mediche, stress, ansia, rimuginio, depressione. Innumerevoli cause possono guastare i complessi meccanismi che lo regolano.
Di seguito ci occuperemo di una categoria di disturbi caratterizzati dall’alterazione della quantità o della qualità del sonno. Sono le dissonnie, delle quali la principale è l’insonnia.
Secondo il DSM 5, la più recente versione del manuale diagnostico edito dall’American Psychiatric Association, soffri di Disturbo da Insonnia se:
1 Il tuo sonno è insoddisfacente, per qualità o quantità. Hai un’insonnia iniziale se impieghi più di 20-30 minuti ad addormentarti. Un’insonnia intermedia o centrale se il tuo sonno è interrotto da risvegli, ciascuno della durata superiore ai venti minuti, dopo i quali fatichi a riaddormentarti. Un’insonnia terminale se dormi meno di sei ore e mezza per notte. Cioè, per esempio, se prendendo sonno a mezzanotte ti risvegli prima delle 6:30.
2 La difficoltà a dormire ti rende difficile svolgere gli impegni giornalieri. L’insonnia può esprimersi, oltre che con i sintomi descritti al punto precedente, anche con la sonnolenza diurna, la facile affaticabilità, la mancanza d’energie, i deficit di memoria e di concentrazione. Forse ti senti demoralizzato in vista di altre notti in bianco, oppure irritato per la sensazione di non essere capito, che il problema sia sottovalutato o minimizzato dagli specialisti a cui ti sei rivolto o da chi ti sta accanto.
3 I sintomi si ripresentano in modo persistente. Questo criterio serve a differenziare l’occasionale difficoltà a dormire da quella abituale. L’insonnia episodica, infatti, di solito è dovuta a eventi circostanziati, per esempio stress di coppia o lavorativi, e dura un massimo di 30-90 giorni. Nell’insonnia ricorrente, invece, si verificano due o più episodi all’anno, ciascuno della durata compresa fra 1 e 3 mesi. Infine, nell’insonnia cronica i sintomi si ripetono per almeno 3 volte alla settimana, per più di 3 mesi. Una precisazione: con l’espressione “cronica” non si intende che non possano verificarsi periodi di parziale o totale remissione dei sintomi. Che, per esempio, per diverse notti, ogni tanto, il sonno non possa tornare a essere regolare e ristorativo.
Nei giovani adulti l’insonnia comune è quella iniziale. Invece, i risvegli di prima mattina o nel cuore della notte sono peculiari delle persone di mezza età e degli anziani.
Spesso l’insonnia, oltre che essere motivo di disagio psicologico, ne è l’effetto. Appena coricato, la testa ti si affolla di pensieri incontrollabili sul futuro, sugli impegni da sbrigare l’indomani, sulla giornata appena trascorsa? Il sonno ritardato può essere dovuto al rimuginio ossessivo.
Ti risvegli nelle ore centrali della notte e hai difficoltà a riprendere sonno? Potrebbe essere per via della regolazione tonica verso l’alto dell’arousal del tuo sistema nervoso, cioè di un’attività fisiologica che non cala nemmeno nelle ore notturne, tipico delle sindromi ansiose.
Infine, sia il sonno superficiale sia i risvegli prematuri, nei casi estremi già una, due ore dopo la mezzanotte, possono essere causati dall’umore basso, ossia dalla distimia e dalla depressione.
In tenera età, difficoltà legate al sonno sono causate per lo più dalle parasonnie, per esempio dal Disturbo da Incubi, dal Sonnambulismo, dal Terrore del Sonno. Oppure da condizioni ansiose come il Disturbo d’Ansia di Separazione. Invece l’insonnia propriamente detta inizia, in media, durante la tarda adolescenza o prima età adulta.
Si dice “disturbi del sonno” e si pensa all’insonnia. Ma anomalie possono verificarsi anche in senso opposto, cioè con l’ipersonnolenza, come accade al 5%-10% delle persone che si rivolgono ai centri specializzati.
Dormire troppo è pur sempre meglio che non dormire affatto? L’ammontare totale di sonno di chi soffre di ipersonnolenza può arrivare a 20 ore al giorno, con gravi ripercussioni sulla qualità della vita, uguali e contrarie a quelle date dall’insonnia.
Il DSM 5 definisce Disturbo da Ipersonnolenza l’eccesso di sonnolenza diurna. Ecco i sintomi principali:
1 Il sonno notturno non è ristoratore. Nonostante la notte tu dorma il giusto, di giorno hai sonnolenza. Frequenti sonnellini diurni potrebbero durare anche più di un’ora e verificarsi, in particolare, in condizioni di bassa stimolazione, leggendo un libro, guardando la tv, perfino guidando per lunghi tragitti su tratti rettilinei, per esempio in autostrada.
2 Fai fatica a ridestarti o a rimanere sveglio. Durante il giorno ti senti confuso, fai fatica a muoverti, a concentrarti e a prestare attenzione, come se fossi ubriaco. Questi sintomi potrebbero attenuarsi nei giorni feriali, grazie alla stimolazione data dagli impegni lavorativi, e aggravarsi nel weekend.
3 L’ipersonnolenza è frequente. Il disturbo si definisce lieve se l’ipersonnolenza si verifica uno, due giorni alla settimana; moderato se tre, quattro giorni alla settimana; grave se cinque o più giorni alla settimana. Con una durata dei sintomi pari o superiore a 3 mesi il disturbo si definisce persistente. L’ipersonnolenza che dura fra 1 e 3 mesi è detta subacuta, è acuta quella che dura meno di 30 giorni.
4 L’eccessiva sonnolenza diurna ti impedisce di svolgere gli impegni quotidiani o mette a rischio l’incolumità tua o di altri, per esempio al lavoro, se utilizzi macchinari, oppure quando sei alla guida dell’auto.
Come l’insonnia, in genere l’ipersonnolenza inizia nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, fra i 17 e i 24 anni, sebbene chi ne soffre, a volte, riceva diagnosi fino a dieci, quindici anni dopo l’esordio dei sintomi.
Una grave ipersonnolenza si osserva nella sindrome di Kleine-Levin, che comprende sintomi come l’eccessiva fame e il comportamento sessuale disinibito. La sindrome di Kleine-Levin si esprime in episodi della durata variabile fra i 2 giorni e le diverse settimane ciascuno e comporta, di solito, un notevole incremento di peso dovuto all’iperalimentazione. Fra un episodio e l’altro, invece, i sintomi scompaiono.
Per via di tali manifestazioni cliniche si ritiene che alla base del problema vi siano disfunzioni mesencefaliche, limbiche e ipotalamiche, cioè della porzione sottocorticale dell’encefalo.
Al pari dell’ipersonnolenza, la Narcolessia è contraddistinta dal sonno che interviene in momenti inappropriati. Ma le due condizioni sono ben distinte. Infatti, soffri di Narcolessia se:
1 Hai ricorrenti attacchi di sonno, almeno 3 volte alla settimana, per almeno 3 mesi. A differenza del torpore caratteristico del Disturbo da Ipersonnolenza, che interviene lentamente, in circostanze ripetitive o noiose, i tipici attacchi di sonno da Narcolessia sono bruschi, improvvisi e sopraggiungono in situazioni di attivazione fisiologica, per esempio durante una passeggiata.
2 Hai episodi di cataplessia di pochi secondi o alcuni minuti, in cui perdi il tono muscolare e le forze, di solito cadendo a terra senza più riuscire a muoverti e parlare, ma conservando una coscienza vigile. Spesso la cataplessia si verifica in situazioni di coinvolgimento emotivo ed entro circa 6 mesi dall’esordio si manifesta con sintomi secondari, come le smorfie e l’apertura della mascella con protrusione della lingua.
3 Dalle analisi di laboratorio risulta una carenza di immuno-reattività dell’ipocretina-1 (oressina) nel liquido cefalorachidiano (CSF). L’ipocretina è un neurotrasmettitore che svolge un ruolo essenziale nella regolazione, oltre che dell’appetito, dell’alternanza sonno-veglia. Chi soffre di Narcolessia, in assenza di danno cerebrale, infiammazione o infezione, mostra valori di ipocretina che si attestano a 110 pg/mL, che è circa un terzo di quanto riscontrato in individui sani.
4 La polisonnografia rivela una latenza del sonno REM minore o uguale a 15 minuti, dal test di latenza del sonno risulta un periodo medio pari o inferiore a 8 minuti e due o più periodi di addormentamento in sonno REM.
La Narcolessia è rara: ne soffrono meno di 4 persone su mille. Il classico primo sintomo del disturbo è l’ipersonnolenza, che in genere fa la sua comparsa già in infanzia, adolescenza o prima età adulta. Entro i tre anni, poi, nell’85% dei casi interviene la cataplessia. In aggiunta sono comuni sogni vividi, di tipo allucinatorio, e altri disturbi del sonno.
Oltre alla Narcolessia appena descritta se ne conoscono tipi secondari, per esempio la Narcolessia senza cataplessia ma con carenza di ipocretina oppure quella, più rara, con cataplessia ma senza carenza di ipocretina. C’è poi la Narcolessia con atassia cerebellare autosomica dominante e sordità, causata da mutazioni genetiche a carico dell’esone 21 del DNA (citosina-5)-metiltranferasi-1, che sopraggiunge fra i 30 e i 40 anni e che, purtroppo, è prodromica della demenza. Altro tipo, associato a bassi livelli di ipocretina-1 e alla mutazione nel gene della glicoproteina mielinica oligodendrocitaria è la Narcolessia autosomica dominante con obesità e diabete di tipo 2. Infine è da citare la Narcolessia secondaria a un’altra condizione medica, per esempio alla malattia di Whipple, che è dovuta a infezione batterica ed è riconoscibile da sintomi gastrointestinali, articolari, neurologici e cardiaci: il malassorbimento del cibo, la perdita di peso e la linfoadenopatia, l’artralgia migrante, la demenza, l’endocardite e la pericardite.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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