L'autostima è un giudizio soggettivo sul proprio valore basato più sul ragionamento emotivo che non su quello razionale.
L'autostima può essere definita “l'attribuzione di valore che risulta dall'insieme di valutazioni che compiamo nei confronti di noi stessi”.
Ciascuno di noi, quando valuta se stesso, paragona il sé percepito con il sé ideale. Il sé percepito è il modo in cui vediamo noi stessi: è l'insieme di pregi e difetti, delle caratteristiche positive e negative che crediamo di possedere. Il sé ideale, invece, è ciò che sogneremmo di essere e comprende le qualità, le abilità, i valori che vorremmo avere per essere “persone migliori”.
Maggiore è la differenza fra il sé percepito e il sé ideale, più è probabile che l’autostima sia bassa. Un esempio di cattiva autostima derivante dalla discrepanza fra sé percepito e sé ideale potrebbe essere quello di una persona che aspira alla popolarità e al successo nelle relazioni e che, tuttavia, percepisce se stesso poco abile nelle situazioni sociali e incapace di avere relazioni soddisfacenti.
Ciascuno di noi possiede convinzioni, autoriferite, su una varietà di caratteristiche: l’intelligenza, l’aspetto fisico, le competenze sociali, le capacità scolastiche o quelle professionali, la forza, la simpatia. Tutte queste caratteristiche possono divenire fonte d’inadeguatezza, nel caso in cui ci percepiamo carenti.
Va comunque detto che la semplice carenza di qualità percepita non è sufficiente per generare senso d’inadeguatezza. Se così fosse, tutti coloro a cui non piace il loro corpo si percepirebbero inadeguati. Ciò non accade, ed è per via di una ragione ben precisa: l’attribuzione di valore. Chi non attribuisce eccessivo valore all’aspetto fisico, con tutta probabilità non si sentirà inadeguato, pur non essendo del tutto soddisfatto del proprio corpo. Chi gli attribuisce molta importanza, invece, sarà più portato ad avere standard alti, a compiere valutazioni critiche e, quindi, a sviluppare senso d’inadeguatezza. Molto spesso, le persone con bassa autostima attribuiscono eccessivo valore a certe caratteristiche ideali. Sono, in altre parole, perfezioniste.
Le persone che hanno bassa autostima non sentono soltanto che c’è qualcosa di carente nel loro modo d’agire. Questa condizione, infatti, rimanda più al senso di autoefficacia che non a quello di autostima. Chi ha bassa autostima sente che c’è qualcosa di sbagliato in ciò che è. La valutazione negativa, quindi, è più globale e riguarda la propria essenza di individuo. Mentre chi ha scarso senso di autoefficacia è portato a pensare “Questa cosa non la so fare perché non sono competente”, chi ha cattiva autostima pensa “Questa cosa non la so fare perché non valgo abbastanza”.
Coloro che hanno bassa autostima, spesso, sono timidi nel relazionarsi con gli altri, nel lavoro, nelle amicizie e nelle relazioni amorose. Sentono di essere immeritevoli d’amore e incapaci di suscitare sentimenti positivi. Il loro timore è che, lasciandosi avvicinare, gli altri prima o poi scopriranno i loro difetti e la loro inconsistenza. Sentono come un dato di fatto la loro inferiorità e, per questo, sono portati a provare vergogna in numerose situazioni.
Chi ha bassa autostima tende a essere ipersensibile alle critiche ma, in realtà, il rapporto di queste persone con il giudizio è complesso e ambivalente. Da un lato tendono a ricercarlo, facendo domande o raffronti. Dall’altro, lo temono. Si intristiscono, si demoralizzano o si arrabbiano quando ne ricevono uno.
Sembrano avere un gran bisogno di giudizi positivi ma quando li ottengono, li minimizzano: “Lo ha detto solo per farmi piacere”; “Lo ha detto ma non lo pensa”; “Lo ha detto ma non sa cosa dice”. Temono e si arrabbiano per i giudizi negativi ma quando ne ricevono uno, lo percepiscono come una realtà indiscutibile.
Nel valutarsi scelgono modelli di riferimento che sono “campioni” del tutto non rappresentativi. Ecco due esempi:
Tendono ad applicare, inoltre, un doppio standard. Giudicano in modo critico e severo le proprie mancanze, ingigantendole, mentre minimizzano e giustificano quelle degli altri. Così facendo, risultano sempre inferiori.
Tutti i precedenti meccanismi sono fra i principali responsabili del fatto che l’autostima si mantenga bassa, ma non sono i soli. Un altro tasto dolente per chi ha bassa autostima, infatti, sono le relazioni sociali e affettive.
Con gli altri, spesso, si mostrano passivi e, nei casi estremi, si lasciano trattare male. Accumulano rabbia per via della sensazione di non essere rispettati e di non potersi esprimere, fino ad avere scoppi di rabbia che, a posteriori, li fanno sentire ancora più inadeguati ed esclusi. Sentono l’esigenza di tenere sotto controllo ogni loro gesto e parola, per non apparire insicuri o strani, e sono portati a vedere gli altri come critici e indisponibili ad accettarli.
Possono decidere di non avere relazioni intime e di mantenere poche, o nessuna amicizia. In ambito lavorativo, possono compiere scelte non qualificanti o non in linea con i propri desideri. Ecco due esempi:
Il senso d’inadeguatezza, infine, può nascondersi anche dietro atteggiamenti di superiorità e grandiosità. Moltissimi di coloro che si mostrano “pieni di sé”, competitivi e sempre alla ricerca di sfide, infatti, lo fanno proprio per contrastare la loro cattiva autostima. Sembrano essere estremamente sicuri, ma agiscono così proprio perché non lo sono. L’autostima vera produce serenità nei confronti di se stessi e degli altri, non quel genere di tensione.
Da svariati decenni, i ricercatori studiano gli stili genitoriali in relazione all’autostima dei figli. Fin dallo studio ormai classico di Coppersmith (1967), risulta che quasi tutti i ragazzi con alta autostima hanno genitori che li accettano, che danno loro regole chiare, razionali e coerenti e sono in grado di farle rispettare, ma senza limitare la loro fondamentale libertà di espressione. Al contrario, i genitori dei ragazzi con bassa autostima tendono a rapportarsi con loro in modo poco empatico, brusco o distaccato. Non fissano regole e li trascurano, oppure ne impongono un gran numero ma non sono in grado di farle rispettare, se non con l’aggressività.
I ragazzi e le ragazze che credono in se stessi tendono a essere più creativi, hanno un umore più alto e si mostrano più motivati e fiduciosi nell’intraprendere attività, imparare e mettersi alla prova. Come conseguenza, il loro rendimento scolastico è più elevato. In questo senso, l’autostima sembra una sorta di “profezia che si autoavvera”. Se è alta, motiva l’individuo a credere nelle proprie capacità e, quindi, a raggiungere traguardi elevati. Se è bassa, demoralizza e rende l’individuo insicuro. E così, i risultati peggiorano.
L’autostima influenza anche la scelta del partner. Chi crede in sé tende a cercare simmetria nei rapporti; non ama stare né al di sopra, né al di sotto del compagno, prediligendo, invece, un rapporto improntato alla reciprocità e alla divisione dei ruoli. Chi non è convinto di se stesso, invece, tende a compiere due possibili scelte, una l’opposto dell’altra. Può essere attratto da individui critici e rifiutanti, intelligenti ma freddi; il tipo di persone che si pongono sempre in posizione di superiorità. Oppure può scegliere un partner remissivo, possibile da dominare. Qualcuno, cioè, che non possa minare la sua autostima già fragile. Ecco due esempi:
La bassa autostima correla, spesso, con i disturbi dell’umore. Lo psichiatra americano Aaron Beck, ancora nel 900, aveva notato che coloro che soffrono di depressione manifestano una “triade cognitiva” che comprende la visione negativa di sé, degli altri e del futuro. Vedono, cioè, se stessi come inadeguati, gli altri come freddi, indifferenti o aggressivi, e il futuro come incerto e incontrollabile.
La presenza, spesso concomitante, di bassa autostima e depressione potrebbe essere spiegata con il fatto che, quest’ultima, è un problema che si sviluppa a partire dal senso d’impotenza, cioè dalla convinzione di non avere possibilità di agire in modo efficace su di sé e sull’ambiente.
Il rapporto fra depressione e autostima, tuttavia, è complesso. In alcuni casi può darsi che la bassa autostima produca il senso d’impotenza e quindi la depressione (“Le mie azioni non hanno efficacia perché non valgo abbastanza”); in altri, sembra che la bassa autostima sia una conseguenza di ripetuti tentativi infruttuosi di ottenere risultati positivi per mezzo delle proprie azioni (“Non valgo perché qualsiasi cosa faccio non ha effetto”).
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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