Quando un bambino subisce una perdita importante tende a manifestarla in modo diverso dagli adulti e ha bisogno di un diverso tipo di supporto per superarla.
Chiunque si sia trovato ad affrontare la morte di un proprio caro sa che è un’esperienza tutt’altro che semplice da superare. Forse nessun’altra circostanza, più di questa, stravolge il nostro presente e le aspettative sul futuro. Gran parte della sofferenza che si prova durante un lutto, tuttavia, non è dovuta semplicemente ai cambiamenti che esso impone alla nostra vita. Il lutto, infatti, innanzi tutto produce una rescissione del legame d’attaccamento con la persona scomparsa ed è proprio questo, in definitiva, a generare dolore. Non si deve scordare infatti che, come esseri umani, siamo mossi da bisogni che ogni grave lutto mette a dura prova. In estrema sintesi, possiamo raggruppare tali bisogni in 3 categorie: 1) il bisogno di appartenenza, cioè di far parte di un gruppo in cui vi siano figure di riferimento stabili e amorevoli; 2) il bisogno di controllo, cioè di sentire di poter ridurre l’incertezza agendo sull’ambiente e su noi stessi; 3) il bisogno di sicurezza fisica, cioè di sentirci al riparo dai pericoli e dalle malattie.
In che modo una perdita produce la frustrazione di tali bisogni? E perché, se non è ben elaborata, può portare allo sviluppo di disturbi psicologici, primi fra tutti quelli d'ansia e depressivi? Lo vedremo di seguito, approfondendo il tema del lutto nella sua forma più toccante, quello che riguarda i bambini.
Un lutto, di per sé, è un’esperienza che frustra i bisogni sopra descritti perché: 1) Ci allontana dalla persona amata, mettendo a repentaglio il nostro bisogno di appartenenza; 1) E’ un evento su cui non possiamo esercitare controllo; 3) Ci mette a contatto con l’ineluttabilità della morte, frustrando il nostro bisogno di sicurezza fisica.
Le reazioni ad un lutto possono variare, anche molto, in funzione dell’età. Un adulto che, per esempio, perde il coniuge, attraversando le 5 fasi descritte da Kübler-Ross pian piano può recuperare la sensazione di controllo sull’ambiente, la percezione di sicurezza fisica e il senso di appartenenza nei confronti di chi è rimasto (gli eventuali figli, la famiglia d’origine, gli amici e, in alcuni casi, un nuovo partner). Quando si parla di un lutto in età infantile o adolescenziale, invece, le cose sono diverse perché di norma ci si riferisce alla perdita del papà o della mamma. Un evento simile è in grado di toccare nel profondo. Niente, come la morte di un genitore, fa sentire il bambino privato della sicurezza, della protezione e dell’amore. E la perdita riguarda una figura di riferimento che è, per molti versi, insostituibile.
Quasi sempre, per questo motivo, il genitore superstite è chiamato a gestire una situazione emotivamente molto difficile, perché egli stesso è in lutto e perché i bambini che subiscono una grave perdita, spesso, manifestano sintomi difficili da riconoscere e fortemente ambivalenti.
Per certi aspetti i più piccoli manifestano la perdita in modo simile agli adulti, diventando ansiosi, tristi, incapaci di provare piacere anche svolgendo attività che, in precedenza, erano per loro fonte di distrazione e divertimento. Ci sono però alcuni sintomi che tendono a presentarsi in modo peculiare nei bambini proprio per via del fatto che, a quell’età, il lutto interrompe legami d’attaccamento non ancora consolidati. O meglio, interviene proprio nel momento in cui è ancora in formazione la loro abilità di creare legami d’attaccamento “interiorizzati”, cioè stabili. Non è raro, quindi, che il lutto nei più piccoli produca sfiducia e insicurezza nel rapporto con il genitore rimasto, che può esprimersi con un atteggiamento ambivalente: da un lato l’ansia di essere abbandonato o di perderlo, dall’altro la tendenza a sfogare su di lui il dolore in modo aggressivo. In questa fase e nonostante tutto, sarebbe importante che il genitore sapesse contenere questi due opposti comportamenti, che a ben guardare sono due facce della stessa medaglia. Non è facile gestire questa condizione perché da un lato il bambino si trova davanti a una condizione oggettiva di vulnerabilità e di perdita irreversibile, dall’altra perché, quando si mostra aggressivo, tende a rifiutare la consolazione e l’accudimento che pure potrebbe ricevere dal genitore superstite.
Il lutto è un evento che, proprio per queste ragioni, mette a rischio la formazione di legami d’attaccamento solidi. E’ di fondamentale importanza che, nonostante tutto, il bambino non sviluppi l’idea che le relazioni siano instabili, precarie e fuori dal suo controllo. Questa convinzione, infatti, si rivelerebbe disfunzionale in età adulta e potrebbe impedire lo sviluppo di legami affettivi durevoli: la percezione che la presenza delle figure di riferimento sia precaria e inaffidabile produce, nella maggior parte dei casi, la paura dell’abbandono nelle relazioni amorose.
Non bisogna mai scordare che, nonostante l’età, il bambino ha la capacità di porsi domande su se stesso, su quanto gli accade intorno e sul proprio futuro. Se queste domande non trovano risposta dal genitore rimasto o da altre figure di riferimento, il bambino tenderà a rispondersi da sé, con il rischio che le sue risposte siano influenzate dallo stato di tristezza e paura in cui si trova e che quindi non gli siano di alcun aiuto. Le domande più tipiche che un bambino può rivolgere, o rivolgersi, sono:
Ogni intervento, che sia condotto dal genitore o da figure esperte, dovrebbe essere mirato a ristabilire nel bambino un senso di protezione e di controllo, rispondendo in modo semplice, solido, coerente e concreto a queste sue domande, anche se egli non le esplicita.
Nel caso, poi, che la perdita sia un evento imminente ma non ancora accaduto (come nel caso di un genitore che si trova nella fase terminale di una grave malattia) l’intervento dovrebbe essere intrapreso in anticipo, piuttosto che a morte avvenuta. E per quanto possibile non si dovrebbe celare il concetto di morte, per esempio impedendo al bambino di far visita al genitore malato, divieto che a posteriori potrebbe generare in lui sensi di colpa.
In seguito, allo stesso modo, si dovrebbe permettergli di condividere con il resto della famiglia ricordi ed emozioni relative alla persona scomparsa, per evitare che l’evento diventi un tabù e generi ansie e sentimenti negativi duraturi.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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