L’insoddisfazione che provi verso te stesso potrebbe non essere dovuta al tuo aspetto esteriore ma dipendere, invece, dall’atteggiamento con cui ti guardi.
Ogni tua valutazione, nessuna esclusa, è resa possibile dal fatto che possiedi degli “standard”. Anche quando ti guardi allo specchio il tuo giudizio è frutto del confronto fra le forme che vedi e la tua personale idea di bellezza. Maggiore è la discrepanza, più ti sentirai inadeguato. E non importa che in tanti ti ripetano allo sfinimento che non hai nulla che non va.
La bellezza non è intrinseca agli oggetti. Piuttosto, è frutto di una valutazione delle loro caratteristiche fisiche. Per questo non può che essere soggettiva. Il tuo concetto di bello deriva, allo stesso tempo, dall’esperienza, dagli insegnamenti che hai ricevuto, dai canoni estetici e dalle mode dominanti nell’epoca in cui vivi.
Tutti i giorni, prima di uscire, provi una montagna di abiti senza mai deciderti? Non puoi fare a meno di guardare i tuoi amici e paragonarti a loro? Lo specchio, per te, è diventato un oggetto di tortura? L’insoddisfazione che senti potrebbe non dipendere dal tuo aspetto esteriore ma da alcuni tuoi comportamenti e dall’atteggiamento con cui ti guardi.
Il pensiero fisso di avere difetti fisici potrebbe darti ansia quando ti trovi fra la gente, indurti a evitare certi abiti e, addirittura, renderti stressante l’intimità, anche se sai di piacere al tuo partner e che lui non pensa né direbbe alcunché di offensivo nei tuoi riguardi.
Grazie agli studi di due psicologi cognitivi, Fugen Neziroglu e David Veale, cercheremo di mostrarti come una caratteristica fisica, fonte di moderata insoddisfazione, con il tempo possa diventare un problema sostanziale, il centro dei tuoi pensieri.
Innanzitutto, per comprendere quanto segue è necessario chiarire cosa intendono questi due autori quando parlano di “sé come oggetto estetico”. Il sé come oggetto estetico è una rappresentazione mentale che ciascuno di noi ha del proprio corpo ed è costruita dalla prospettiva di un osservatore. In poche parole è ciò che siamo certi vedano gli altri quando ci guardano.
Immagina un ragazzo intento a prepararsi per una serata con gli amici. Mentre è davanti allo specchio il suo sguardo finisce su una parte del viso della quale è insoddisfatto, il naso. Ciò innescherà la rappresentazione di sé come oggetto estetico.
Come vedendosi dall’esterno, nella sua mente tutto a un tratto il naso gli appare troppo voluminoso. Sembra quasi invadergli il viso.
Spesso, chi è troppo preoccupato della propria apparenza vede imperfezioni dove non ci sono o vi attribuisce più importanza di quanto non faccia chi, a parità di condizioni, ha una buona immagine corporea. E, sentendosi svalutato, teme che anche gli altri possano fare lo stesso, disapprovandolo o rifiutandolo.
Una o più di queste affermazioni descrivono ciò che pensi di te stesso?
A lungo, le neuroscienze hanno cercato di individuare i correlati anatomofisiologici dei processi cognitivi che inducono alla convinzione ossessiva di avere gravi difetti. Per esempio, sembra che nelle dispercezioni visive tipiche di chi è cronicamente autocritico siano implicate aree cerebrali quali le cortecce temporale-occipitale e temporale-parietale. La prima sarebbe coinvolta negli errori di elaborazione e valutazione delle caratteristiche del corpo, la seconda in quelli sui giudizi dei tratti del viso. Anche l’amigdala, l’insula e il giro superiore svolgerebbero un ruolo decisivo, essendo deputati all’espressione del disgusto e collegati in modo diretto alla vista.
Tornando al nostro esempio, il sé come oggetto estetico del ragazzo, essendo autosvalutante, farà da innesco alle sue già ben radicate convinzioni sul naso, come illustrato di seguito.
Queste valutazioni determineranno vergogna, tristezza, senso d’inadeguatezza, cioè emozioni legate al valore personale e all’autostima. Oppure ansia o paura per il rischio di ricevere critiche e disapprovazione. Di conseguenza, l’attenzione sarà sempre più calamitata verso il naso, che finirà per apparire sempre più sproporzionato. Così il ragazzo sarà spinto ad agire nel tentativo di rassicurarsi e recuperare controllo. Per esempio, guardarsi allo specchio da diverse angolazioni.
Questo comportamento, tuttavia, con ogni probabilità non sortirà l’effetto sperato dato che, a monte, è viziato dalla radicata convinzione che il naso sia davvero troppo grosso e che ciò sia inaccettabile. In effetti, più che avere un effetto calmante, la compulsione di fissare il naso rafforzerà le idee autocritiche e il circolo vizioso ossessivo compulsivo schematizzato di seguito.
La reciproca influenza di pensieri, emozioni, attenzione e compulsioni spiega come l’insoddisfazione di sé possa crescere fino a diventare intollerabile ed è anche il motivo per il quale alcune persone sono concentrate in modo costante sui loro supposti difetti, su ciò che potrebbero fare per correggerli o per nasconderli. Per esempio, scegliendo abiti che nascondono certe parti del corpo fino ad arrivare, nei casi estremi, a condurre una vita del tutto ritirata e priva di vere relazioni.
In questo video gli stessi meccanismi sono spiegati con l’esempio di una ragazza insoddisfatta dalla forma delle orecchie.
Conosci qualcuno inamovibile nella sua certezza di essere brutto sebbene in tanti gli dimostrino, con le parole e con i fatti, di trovarlo attraente? Questa persona potrebbe soffrire di Dismorfismo Corporeo.
I dismorfofobici sono schiavi delle stesse ossessioni e compulsioni che abbiamo descritto nel corso di questa pagina. Molti uomini con Dismorfismo Corporeo passano ore davanti allo specchio o in palestra, scolpendo i muscoli per renderli più simili all’ideale, spesso vago o irrealizzabile, che hanno in mente. Tante donne in lotta contro le imperfezioni della pelle, invece, spendono il loro tempo a togliere e applicare il trucco nel vano tentativo di coprirle. Non di rado, quelle che leniscono il senso d’inadeguatezza sottoponendosi a operazioni di chirurgia plastica o a interventi di medicina estetica, presto o tardi ricadono nella solita insoddisfazione.
E questi sono solo alcuni degli innumerevoli, possibili esempi. Le caratteristiche fisiche oggetto di dismorfismo, infatti, sono numerosissime. Per le femmine le più comuni riguardano i tratti del viso, le rughe e altri segni della pelle, la grandezza e la forma del seno, il volume e la tonicità dei glutei, la circonferenza di fianchi e cosce. La maggior parte delle preoccupazioni maschili, invece, sono riferite alla muscolatura, all’altezza, alla foltezza dei capelli e alla grandezza dei genitali.
Soffrono di Dismorfismo Corporeo persone di ogni età, sebbene i preadolescenti siano una ristretta minoranza. Secondo l’Associazione degli Psichiatri Americani (APA) due terzi di chi ha questo disturbo lo sviluppa fra i 16 e i 17 anni. E ciò non sorprende: è in pubertà che sopraggiungono quei repentini cambiamenti biologici e morfologici che sanciscono il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Dalle loro autodescrizioni è chiaro come molti dismorfofobici, da piccoli, abbiano ricevuto eccessive gratificazioni per via del loro aspetto fisico, che la pubertà sia coincisa con la perdita traumatica dello status di “bambini belli” e che sia stata vissuta, quindi, come un impervio spartiacque nella costruzione della loro immagine corporea.
I dismorfofobici intendono l’aspetto fisico come un mezzo per sentirsi di valore e ricevere approvazione. Trovandosi, così, a essere esposti e vulnerabili a qualsiasi giudizio esterno.
Il Dismorfismo Corporeo che colpisce i giovani, più di quello degli adulti, tende a essere cronico e correlato a disturbi quali la depressione e il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Tante ragazze hanno, allo stesso tempo, anche un disturbo alimentare, come l’Anoressia e la Bulimia Nervosa. Infine, la dismorfofobia è correlata a un maggior rischio di suicidio, in particolare fra gli adolescenti.
© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.
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