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Internet. Virtù e limiti del mezzo di comunicazione che ha cambiato il mondo

Internet ha permesso lo sviluppo di una varietà di modi di scambiarsi informazioni e, proprio grazie alla sua duttilità, sta togliendo sempre più spazio alla carta stampata, alla radio e alla tv.

dipendenza da internet

Le tue pagine web preferite, i social che frequenti ogni giorno e le app con le quali effettui i tuoi acquisti online sono possibili grazie agli esperimenti, di tanto tempo fa, dei tecnici A.R.P.A. (Advanced Research Projects Agency), un’agenzia governativa nata per volontà di Dwight “Ike” Eisenhower, il generale che aveva guidato lo sbarco in Normandia sul finire della Seconda Guerra Mondiale.

Su mandato del Ministero della Difesa statunitense, nel lontano 1969 A.R.P.A. progetta Arpanet, una rete di telecomunicazioni che nemmeno un attacco nucleare può mettere fuori uso. In Arpanet, infatti, le informazioni viaggiano come “pacchetti di dati” inviati da macchine collegate fra loro, senza un vero centro. Da questa intuizione, qualche anno più tardi, nasce il cosiddetto protocollo TCP/IP grazie al quale il CERN di Ginevra, a fine anni ottanta del Novecento, inventerà il World Wide Web. Il moderno Web.

L’internet degli esordi si pagava al consumo. Se appartieni alla generazione che ha cominciato a navigare con i lentissimi modem a 56kbps ti ricorderai del loro inconfondibile suono e, soprattutto, delle bollette telefoniche. Fino agli anni Duemila le potenzialità del web sono state limitate dalla scarsa potenza e dagli esorbitanti costi di connessione. Poi, tutto è cambiato.

un vecchio modem a 56 kbps
un vecchio modem u.s. robotics a 56kbps

Un labirinto infinito di immagini e parole. I perché del successo di internet

Se stai leggendo questa pagina è perché l’hai trovata, magari su Google, che in Europa e in America è il motore di ricerca più utilizzato. I motori di ricerca sono applicazioni che indicizzano le pagine web, le propongono all’utente in base a ciò che egli cerca e rendono, così, “visibili” i contenuti.

Secondo le stime, con Google gli utenti compiono più di due bilioni di ricerche all’anno, cioè oltre duemila miliardi. E il traffico che passa da questo sito è solo quello occidentale. In Russia e in Cina, immensi mercati in cui Google, per vari motivi, non è riuscito a sfondare, Yandex e Baidu sono gli assoluti protagonisti.

Vuoi tenerti aggiornato su ciò che accade nel mondo? Puoi consultare le edizioni online dei giornali di qualsiasi nazione o città. Scrivi canzoni e vuoi farti conoscere? Su YouTube puoi caricare video delle tue performance. Ti interessi di politica, di arte, di cinema, di moda? Puoi aprire il tu blog su Wordpress. Cerchi incontri occasionali? C’è Tinder. Relazioni serie? Non hai che l’imbarazzo della scelta, fra i tanti siti che promettono l’amore eterno.

Il web sta sottraendo sempre più spazio alla carta stampata, alla radio e alla tv, grazie alla sua maggiore duttilità ma anche perché possiede queste tre caratteristiche.

il web è interattivo Conosci qualcuno che “parla” con la tv? Magari è tuo padre, che contesta le scelte del governo annunciate al telegiornale. Ovviamente, senza ottenere risposta. I tradizionali mezzi di comunicazione presuppongono la posizione “passiva” del fruitore. Chi legge un giornale o ascolta la radio è un semplice ricettore del messaggio. Il web, al contrario, ci chiede di essere partecipi, attivi e interattivi. Non a caso, nessuno chiamerebbe “spettatore” un internauta.

Il web risponde all’esigenza di affermare e condividere il proprio punto di vista. Stai pensando di sostituire la tua vecchia auto e hai già un’idea di quale ti piacerebbe acquistare? Su vari forum troverai i commenti di centinaia di consumatori che, prima di te, l’hanno guidata. Un personaggio pubblico esprime un’opinione sulla quale non sei d’accordo? Puoi twittare una risposta o postarla su Facebook.

Il web ha dato voce a chiunque voglia averne. E, così, ha prodotto un prezioso fiorire di esperienze, una vera miniera d’oro di informazioni utili. Ma ha generato anche l’illusione della democratizzazione del “sapere”. Allora, l’avvocato collezionista di foglietti illustrativi può improvvisarsi medico e dispensare diagnosi, il commercialista appassionato di mostre sembrare un critico d’arte, l’operaio appassionato di talk show passare per un esperto conoscitore di geopolitica.

il web è ipertestuale Chiedi qualcosa a Google e clicca su uno qualsiasi dei risultati. Nella pagina che si aprirà vedrai, qua e là, parole o frasi di colore diverso o sottolineate. Sono collegamenti ad altre pagine, in qualche modo pertinenti con ciò che stai leggendo. Visita uno dei link e ti comparirà un nuovo testo a sua volta disseminato di collegamenti. Se la pagina da cui sei partito conteneva dieci link e ciascuno di essi è diretto a una pagina contenente dieci link, aprendoli tutti avrai accesso a cento pagine. Compiendo un solo altro passaggio, avrai visitato mille pagine. Un altro ancora e le pagine saranno diecimila. Questo, partendo da una manciata di parole evidenziate.

Il web è un immenso ipertesto, uno spazio virtuale interconnesso. In teoria, potresti guardare video sempre diversi e senza mai lasciare YouTube, seguendo il filo virtuale dei “contenuti correlati”. All’infinito.

La rete mette il sapere alla portata di tutti. Ma come sfruttiamo questa preziosa possibilità? Ci serviamo del web per migliorare le nostre conoscenze o, al contrario, lo utilizziamo per radicalizzare opinioni già ben consolidate e parlare solo con chi è affine a noi? Forse anche tu, dal web, selezioni informazioni coerenti con i tuoi gusti e il tuo modo di pensare, scartando il resto.

il web è in tempo reale Sembra passata un’era geologica da quel giorno del 1989 in cui l’informatico Tim Berners-Lee pubblicò la prima pagina web in assoluto; un semplice testo con alcune parole in blu, il colore “naturale” dei link. Con quelle poche righe era iniziata l’epoca della totale interconnessione, dell’annullamento delle distanze, della globalizzazione. In molti, fin da subito, avevano intuito le potenzialità della rete ma non cosa sarebbe accaduto in pochi decenni.

Oggi utilizzano internet 4 miliardi di persone e circa 250 milioni di nuovi utenti si aggiungono ogni anno. Da internet, ormai, passano i dati delle pubbliche amministrazioni, degli istituti bancari e finanziari di tutto il mondo; la posta fra privati e quella fra istituzioni; buona parte del commercio internazionale; il traffico aereo e la difesa militare. E informazioni. A tonnellate. O, meglio, a terabyte.

Il web non dimentica, si dice talvolta. Un contenuto, se non rimosso, è consultabile per sempre. Ma il web è anche in continuo cambiamento: la velocità con cui si aggiorna è da capogiro. Nessuna edizione straordinaria di telegiornale può uguagliare la tempestività delle migliaia di notizie e di video che ogni secondo si riversano nella rete. Nessuna enciclopedia tradizionale, nemmeno la più puntigliosa e curata, può competere con i gigabyte che ogni giorno “nutrono” Wikipedia.

Il prezzo da pagare, naturalmente, è l’incessante bombardamento di stimoli, un sovraccarico sensoriale che finisce per banalizzare qualsiasi informazione. Così, in mezzo al marasma di voci sembra sempre più difficile distinguere la chiacchiera dall’informazione e l’informazione dal sapere. Le innumerevoli voci parlanti si fondono in unico, collettivo urlo senza forma.

L’era di Facebook. La compulsione a restare connessi, l’ossessione di essere social

Nel 2003 un diciannovenne originario dello stato di New York lancia Facemash, un sito che raccoglie i documenti d’identificazione degli iscritti all’Università di Harvard, di cui lui stesso è studente. L’esperimento funziona. In poche ore vengono visualizzate più di 20mila foto anche se, già dopo qualche giorno, i dirigenti di Harvard danno ordine di rimuovere la pagina perché viola le regole sulla privacy del campus e si avvale di immagini sottratte in modo illegale, compiendo un’intrusione nel sistema informatico dell’Università. L’anno successivo il ragazzo ci riprova: è il 2004 e nasce Facebook. Lui, naturalmente, è Mark Zuckerberg, che per l’impresa si fa aiutare da quattro collaboratori dai quali, in seguito, avrà grane legali di vario tipo.

Comunque, fin da subito il successo di Facebook è travolgente e, ancora oggi, il numero di profili è in ascesa. La piattaforma vanta ormai 2 miliardi di account attivi e ricava centinaia di milioni di dollari dalle inserzioni pubblicitarie. Infatti, oltre che essere il luogo ideale per incontrare nuove persone e ritrovare vecchie conoscenze, Facebook è un potente strumento di social marketing per le aziende di mezzo mondo.

Zuckerberg non è il primo a dare ai comuni mortali la possibilità di mettersi in vetrina. In precedenza altri servizi, come MySpace, erano stati progettati allo stesso scopo. Ma è Facebook a sdoganare alla perfezione il narcisismo. Per esempio introducendo il “like”, quel piccolo tasto che oggi, per molti, è sinonimo di successo. La pioggia di “Mi piace” come segno universale dell’apprezzamento; il desiderio, a volte il pensiero fisso, di chi condivide qualcosa di sé.

Facebook solletica il bisogno di riconoscimento e approvazione, di non essere dei “signor nessuno”, incoraggiando l’idea che ciò che facciamo e che riteniamo importante lo sia anche per chi ci guarda o ascolta. Un’illusione sulla quale i social network fanno leva e che, allo stesso tempo, contribuiscono a fomentare. Se non ci sei, non esisti.

La definitiva esplosione dei social media avviene con la diffusione del mobile web. Ed è il compimento dell’idea originaria di internet: l’assoluta e ininterrotta interconnessione. Oggi, con lo smartphone puoi postare un selfie e dimostrare che sì, stai davvero per immergerti nelle acque australiane per visitare la grande barriera corallina. E, dovunque tu sia, puoi chattare. Con un parente o un amico emigrato per lavoro dall’altra parte del mondo o con il vicino di casa che abita a tre portoncini di distanza. Non sei mai solo. Puoi sempre avere un “amico”.

I social network hanno l’obiettivo dichiarato di avvicinare le persone. Ma se invece di adottare, come parametri, i like o il numero di messaggi inviati e ricevuti considerassi i reali benefici che hanno sul tuo senso di solitudine, lo definiresti un successo?

© Gabriele Calderone, riproduzione riservata.

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